Non è facile pensare a mente fredda a quanto settimanalmente vivo e vedo in questo reparto. ogni volta venire qua e chiedersi chi ci troverò, se potrò parlarci o limitarmi a cogliere reazioni dietro al muro dei farmaci o alla barriera di una malattia.
Ognuno dei bambini con i quali abbiamo a che fare è un piccolo universo a parte, spesso indecifrabile e contorto ai nostri occhi: non c’è logica apparente e la buona volontà può ad un certo punto fare posto alla frustrazione per una situazione stagnante in cui non è possibile neanche far capire come vanno tenute le forbici del Cocco-Dentista.
Altre volte questi bambini mi sembrano angeli di cristallo, bellissimi e fragili, che hanno avuto l’unica sfortuna di una famiglia inesistente o in ogni caso lontana. Puntualmente quando vado via, mi vergogno di sentirmi disarmato di fronte ai miei problemi che, se non altro, presentano una linearità del tutto assente nelle vite di questi ragazzini.
La settimana scorsa, sicuramente tranquilla, stavo giocando a carte con Attilio e un signore, entrambi malati di sclerosi multipla: al momento di mischiare il mazzo Attilio tenta con le carte una coreografia “da film western”, come i giocatori di poker professionisti, ma le mani lo tradiscono: lancia un’occhiata di complicità al compagno e con un sorriso rassegnato gli dice a mezza voce: “un’altra cosa che non posso più fare.”. L’impatto con la semplice dignità di queste poche parole mi ha lasciato allibito. poi abbiamo continuato a giocare.
Ma a quante altre cose Attilio deve rinunciare? Sabato scorso io mi stavo imbestialendo perché in una strada buia ho bucato una ruota mentre andavo ad una festa, ma quando mi è tornata in mente l’espressione d’Attilio ho soltanto potuto constatare la mia fortuna perché posso guidare, cambiare una ruota bucata con le mie mani, andare a ballare ad una festa. Non è poco!
Andrea
(volontario neuropsichiatria infantile)