Ricordi seppelliti così in profondità, per lungo tempo tenuti come da parte, in un angolo.. ho sempre avuto paura di dimenticare, ma ora per la prima volta mi accorgo di aver altrettanta paura di ricordare.A undici anni ho imparato di colpo e brutalmente che la vita non ti deve niente: ho visto i miei sogni infrangersi in mille frammenti, ho guardato le mie illusioni cadere come petali, petali di un fragile fiore ad un soffio gelido d’inverno.
Ancora adesso le lacrime scorrono sul mio viso, a quasi quattro anni da quel 23 gennaio 1998, quando per la prima volta l’orrore è entrato nella mia esistenza, quando l’inumano dolore del “BM” ha devastato il mio animo, portato via la mia vita.
Scruto i miei occhi scuri, vi cerco lo specchio di quella crudele sofferenza; riporto con violenza sensazioni che credevo d’aver superato e che invece non mi abbandoneranno mai. I miei occhi.. gli stessi che, appena due anni fa, hanno gridato ogni lacrima che mi bruciava il viso, le pupille dilatate dal terrore, lo sguardo perso nel lancinante dolore che tante volte avevo sofferto.
Prima di ammalarmi ero piena di paure: paura del buio o di quelle immagini viste in TV, o nate da racconti di terrore di una delle mie migliori amiche; mostri come ET, o altre inquietudini affollavano la mia mente e mi toglievano il sonno.
Dopo che la leucemia entrò nella mia vita, durante i primi mesi di terapia intensiva, tutto scomparve, ma lasciò il posto a nuovi terrori, più sottili e crudeli. Ricordo le mie amare parole di allora: “Non posso più aver paura di quelle cose: ora ho altro da temere”.
Eppure spesso mi accorgo di pensare alle sofferenze della malattia come a qualcosa di finito per sempre, egoisticamente, mentre tanti ancora soffrono, sperano, lottano. Quegli sguardi continuano a ripetersi, nelle stesse stanze d’ospedale, infinitamente…ed un sorriso mesto si dipinge sulle mie labbra al pensiero di tutti i bimbi che con me hanno condiviso e continuano a condividere ogni giorno del penoso viaggio di una malattia che cambia la vita.
Diversi eppure simili, così pallidi, i visi gonfi, i capi lisci orgogliosamente celati da cappellini o bandane, le mascherine a coprire la bocca, a proteggerci da mali invisibili, subdoli e silenziosi. E poi, gli occhi. Forse lo sguardo, più di ogni altra cosa, ci accomunava al di là dell’età, del sesso o della patologia.
Non vi era luce in quello sguardo, speranza più non vi brillava; nemmeno nel ridere, nemmeno allora scompariva quel velo di tristezza e di rassegnazione, la coscienza dell’esistenza di mali più grandi e più forti di noi. a undici come a quattro anni.
Non da soli lottavamo e lottano, questo no… spesso è in queste occasioni che gli affetti si rivelano in tutto il loro valore, e poi, al nostro fianco avevamo spesso le volontarie dell’A.B.O.S.. I loro camici verde chiaro, così delicati e diversi da quelli degli infermieri e dei medici, i giochi per noi, sempre nuovi, sempre diversi, a cercare di aiutarci così com’era loro possibile.
Oggi respiro, l’aria è pura e non ho più paura di ammalarmi con quest’aria fredda. Eppure mai mi libererò della tristezza, le lacrime ed i ricordi scorreranno ancora, finché non sarò cresciuta o, forse, finché non tornerò bambina.
Chiara Bonsignore