A volte le persone si pongono la domanda: “che cos’è il volontariato”? La risposta più comune penso sia “la partecipazione ad una qualsiasi associazione che si dedica, attraverso i suoi volontari, al sociale o meglio al soddisfacimento dei bisogni cui la società non riesce spesso a far fronte”.
Io penso che questo termine abbia invece un’accezione più vasta; per me non c’è bisogno di fare grandi cose o far parte di un’associazione, altruisti lo si è nel cuore e lo si dimostra anche nelle più piccole cose.
Mia madre è da dieci anni presidente dell’associazione A.B.O.S., ma io ho imparato cos’è la cura verso gli altri molto tempo prima: quando ero piccola la ricordo, per esempio, portare un piatto di minestra calda al barbone che viveva nelle scale della chiesa sotto casa o avere una semplice parola di conforto verso chi era più sfortunato di noi.
Vederla quindi mettere su questa Associazione è stata per me la semplice conclusione di ciò che lei è e dei suoi insegnamenti: il mondo non lo si chiude al di là della porta di casa, fuori ci sono tante persone che sono sole o con problemi che egoisticamente vogliamo considerare come non nostri, pensando che non ci coinvolgeranno mai in prima persona.
Ad essere sincera il primo anno non avevo molta consapevolezza di quello che stava accadendo, avevo 15 anni e sentivo solo grandi parole senza afferrarne la realtà.
Quando l’Associazione diventò operativa capii però che questa non avrebbe avuto effetti solo sui bambini dell’ospedale, ma anche su me ed i miei fratelli: il telefono squillava non so quante volte al giorno, mia madre era spesso fuori e dentro di me c’erano sentimenti contrastanti: a volte avrei persino voluto che l’A.B.O.S. non esistesse.
La maggior parte delle volte ero però orgogliosa di mia madre, e anche di me stessa per quel poco che facevo, come collaborare alla preparazione delle feste, rispondere al telefono, dare informazioni, riferire messaggi.
Non so quanto fosse diverso per i miei fratelli, avendo all’epoca 4 e 6 anni; chissà, magari hanno vissuto quella situazione come se fosse normale o come un gioco, visto che si passavano serate intere a preparare pacchettini regalo per le feste di Natale, colorare locandine o riempire le calze della Befana.
Una volta diplomata ho iniziato anch’io ad andare in ospedale, in neuropsichiatria infantile. L’impatto è stato forte, non posso negarlo; le situazioni che s’incontrano in quel reparto non sono facili da sostenere e capita spesso di sentirsi inadeguati e impreparati.
A volte due ore con quei bambini sembrano infinite, a fine serata la stanchezza è inevitabile ma la consapevolezza di avere contribuito a piccoli momenti di gioia ripaga di tutto. Ho fatto volontariato anche in altri posti: dall’assistenza ai ragazzi handicappati alla preparazione, insieme alle suore, dei pasti per i poveri.
Oggi, dopo tanti anni e diverse esperienze, sono convinta di una cosa: il vero volontariato nasce dal cuore e ci dà grandi insegnamenti, anche se spesso la gioia lascia il posto all’amarezza per l’impotenza che si prova nel non poter andare oltre.
Ho imparato che volontario lo si può essere con chiunque e dovunque ma soprattutto, in silenzio, nella vita di tutti i giorni.
Silvia